Blomqvist

Blomqvist, dalla gloriosa maglia del Milan alla gloria come pizzaiolo

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Erano altri tempi, si dice. Ed effettivamente lo erano. Essere calciatore negli anni '90, e ancor 'peggio', nei decenni precedenti, non era come esserlo nel nuovo millennio. Meno classe, probabilmente, più pensieri sul futuro, visto l'aumento esponenziale degli stipendi, sicuramente. Per chi appendeva gli scarpini poco prima, o poco dopo, i trenta, il mondo del calcio non era sufficiente per tirare avanti. Serviva l'idea, l'intuizione, la voglia di reinventarsi, tramite un sogno, un'amore nato per caso. Jesper Blomqvist c'è riuscito.

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Esterno di centrocampo, corsa e tecnica, biondino dai piedi discreti che ha saputo rendersi protagonista da calciatore prima e da pizzaiolo poi. Ci arriveremo. Chi era Blomqvist? Era l'ennesima scommessa svedese del Milan, che sperava di poter avere nuovamente sorrisi scandinavi dopo l'era Gre-no-li. Raggiungerli sembrava impossibile e se non ci riuscì minimamente il ragazzo di Umeå, ci riuscirà un decennio più tardi uno spilungone con la cintura nera di taekwondo, tale Zlatan Ibrahimovic. Altra storia.

Quella di Blomqvist inizia nella sua città natale, dove rimane una stagione prima di essere notato da una delle squadre più in vista del suo paese, quel Goteborg che negli anni '90 è tra le migliori squadre del continente, regolarmente nella fase finale della Champions League, dopo aver vinto per due volte l'allora Coppa UEFA, oggi Europa League, nel decennio precedente. Il ragazzo si mette in mostra e il Milan lo nota, desideroso di acquistarlo a tutti i costi, riuscendoci nel 1996.

Del resto ad una squadra come il Milan non si può dire di no, soprattutto perché è quella più vincente del periodo, devastante in Europa, anche se in netta discesa dopo Sacchi e Capello. Il Don non è più a Milano e in rossonero si vive un momento di transizione, con diverse scommesse di calciomercato, in mezzo a sicurezze che non sembrano però essere ai livelli di qualche anno prima, quando i trofei gravitavano nell'orbita del Diavolo un giorno sì e l'altro pure.

Il Milan vivrà nel 1996 una stagione solo nera, senza il rosso del calore e del sangue versato in campo. Sarà undicesimo, con Sacchi in panchina lontano anni luce dai vecchi racconti di miti e leggende. Sarà sconfitto in Supercoppa Italiana, deludente in Coppa Italia, affranto in Europa. Blomqvist arriva a gennaio, per 4 miliardi e mezzo di lire, in un calderone che ruota senza sosta, senza bloccarsi alle giuste fermate:

"Quando mi guardo allo specchio ripenso alla sfortuna di arrivare al Milan proprio in quell’anno. Speravo di arrivare in un Milan forte e inserirmi pian piano, crescendo senza fretta davanti ai grandi campioni. C’era Sacchi e mi diede fiducia da subito e forse mi sono bruciato, perché la squadra non girava e io di conseguenza. È stato davvero un dispiacere perché il Milan l’ho voluto fortemente. Quando giocavo al Göteborg mi cercavano squadre di tutta Europa: io non avevo procuratore e dissi al mio club che avrei preso in considerazione solo il Milan, che era il club dei miei sogni”.

Tra le squadre che lo seguono con attenzione prima dell'approdo a Milano c'è il Manchester United: Ferguson farebbe follie per averlo, gli promette che sarà titolare ed imprescindibile, un monumento per i Diavoli Rossi. Tra uno e l'altro diavolo però Blomqvist non ha il minimo dubbio e sceglie quello singolo, quello che sta vincendo, che fa rima con Svezia. Solo un arrivederci.

Sì, perché Ferguson e Blomqvist si uniranno nel vincolo del matrimonio due anni dopo, con stelle filanti a coprire i loro corpi e lo champagne a rendere tutto più interessante. È il momento che il Manchester United sognava da decenni, la Champions League: ci sarà anche lo svedese a conquistare il trofeo nella più assurda gara di sempre, in cui il Bayern Monaco cade sotto i colpi degli ultimi minuti, lanciati con precisione chirurgica e follia pura da parte di Sheringham e Solskjaer.

Al Milan, invece, Blomqvist è una meteora, più che un flop. O forse una via di mezzo. Gioca 19 gare da gennaio a maggio, è una delle principali pedine nello scacchiere di Sacchi, ma le cose non vanno. Nessuno può ritenersi soddisfatto in quell'annata, in cui rossoneri perdono diversi talenti che faranno fortuna altrove, uno su tutti Edgar Davids. Ma non solo.

In estate al Milan si rivede Capello. E la mente già vola verso nuove notti europee, quelle primaverile e quasi estive, che significano esser arrivati in fondo alla Champions League. Non sempre i sogni, però, anche quando si tratta di privilegiati che possono renderli realtà, diventano tali. E Blomqvist nel 1997/1998 giocherà una sola partita, in un team rossonero ancora una volta spiazzante e spiazzato, decimo. Senza il ragazzo svedese, ceduto:

"Berlusconi arrivava in elicottero, mi diceva sempre di non mollare. Io e Capello non ci siamo trovati. Diceva che avrebbe voluto mandarmi via, poi cambiò idea quando avevo già firmato. Un falso. Non capii più nulla e mi rilanciai a Parma".

Blomqvist passa ad un'altra big, un Parma che fa la voce grossa in Italia e in Europa. Anche qui la lingua svedese è apprezzatissima negli anni '90, ma anche in questo caso, si trova al momento sbagliato e nel posto sbagliato, perché proprio nel 1997/1998 gli emiliani non sollevano trofei. Dispiaciuto, deluso, non sa però che l'esperienza italiana fallimentare in campo lo porterà nella stratosfera della cucina anni dopo. Al momento no, impossibile pensare sarebbe andata così, ma nel lungo periodo, l'Italia lo renderà grande in altri termini.

Alla Gazzetta dello Sport, Blomqvist, data stellare 2020, racconta l'amore per la cucina. Prima al Milan, poi al Parma, capisce cosa significa il connubio tra cibo e calcio, in Italia:

"Estate 1996, arrivo in Italia dopo una vita in Svezia e pranzo a Milanello per la prima volta. Sembrava un ristorante due stelle Michelin. Al Parma mi innamorai di nuovo dell’Italia, mangiavo moltissimo. Ancelotti, poi, era un maestro. Prima delle partite portava la squadra al ristorante o a mangiare la pizza. Coincidenza? Sì, forse è nato tutto lì, anche la passione per il vino. Sa, sto studiando per diventare sommelier".

Blomqvist Parma Serie AGetty

Quell'amore per pizza e cucina italiana rimane sopito però per tempo, perché dopo aver chiuso la carriera a 31 anni in patria, Blomqvist non sa che fare della sua vita post-pallone. Ci metterà un poì per capirlo, quando qualcosa scatta in lui. Metti una sera a tavola, o un discorso con attenzione massima sui dettagli. E un giorno, con Jannis Bonnevier decide che sai che c'è, perché non apriamo una pizzeria in stile napoletano a Stoccolma? Proviamoci dai, non può essere così difficile:

"Dopo aver smesso ho provato varie cose: commentatore tv, allenatore, ma nessuna faceva per me. Poi ho fatto corsi per un anno. Studiavo e cucinavo, mi comprai perfino una macchina dell’espresso per imparare a fare i caffè come si deve. Ma dovevo avere qualcosa di mio, così ho rilevato il locale insieme a un altro socio. Siamo ancora qui".

Qui è Lidingö, un come di 40.000 abitanti nella contea di Stoccolma. Ci vive Benny Andersson degli ABBA. Lo visita chiunque ami la pizza da primato, considerando che il suo '450 gradi', la temperatura perfetta per cuocere la pizza, è stato inserito al 41° posto nella classifica 2020 delle 50 migliori pizzerie d'Europa.

Un orgoglio enorme per Blomqvist, che a differenza di un talento calcistico donatogli da madre natura, ha dovuto studiare per diventare un grande imprenditore e pizzaiolo, insieme a Bonnevier e Blendi, il terzo socio di una pizzeria per cui sul web i complimenti si sprecano, in ogni lingua, anche nelle più incredibili e ricercate.

La passione per la cucina lo ha spinto a partecipare anche all'edizione svedese di Masterchef Vip, talent culinario che è riuscito addirittura a vincere.

La sua carriera in Italia, a differenza di quella inglese in cui ha vinto otto trofei nel giro di un triennio, non è stata esaltante di certo, ma ha gettato le basi per il futuro. E Blomqvist non ha certo bisogno di mettere da parte quell'esperienza, di stare lontano dal tricolore, visto che tutti i prodotti per la sua pizzeria, così come le attrezzature, arrivano proprio da tal nazione, seppur più al sud, dove al massimo andava a giocare indossando le maglie di Milan prima e Parma poi.

È capitato nell'unico Milan capace di arrivare prima undicesimo e poi decimo. E' finito in un Parma che prima di lui arrivava secondo e dopo di lui quarto, con saluti lontani alla Champions proprio nel suo anno. Ma ha assimilato, ha raccolto l'essenziale dell'Italia, ha ricordato, depositato dentro di lui, per esplodere di gusto, e di gusti, al momento opportuno. Ha conquistato l'Europa con la maglia inglese, calciando un pallone. Ha conquistato l'Europa con quella svedese, come ristoratore. Ha preso in mano la coppa e preso per la gola gli avventori, felici e soddisfatti. Come lui, del resto.

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